Percorso:

Fonte:  LA REPUBBLICA

28 giugno 2015

Rubrica: Economia


Gallino: “La politica dovrebbe intervenire”


L’INTERVISTA

NEL suo ultimo saggio le ha chiamate “vite rinviate”. Sottotitolo: “lo scandalo del lavoro precario” (edizioni Laterza-Repubblica). Luciano Gallino, sociologo torinese, è uno dei più importanti studiosi italiani degli articolati processi che riguardano il mondo lavoro e l’impatto che le sue trasformazioni ha sulla società e soprattutto sulle vite delle singole persone.Professore, una multinazionale dei supermercati, Carrefour, propone anche in Toscana l’apertura di un ipermercato h24. Lo fa già in altre parti d’Italia. Lei cosa ne pensa?«Penso che allungare l’apertura al pubblico sia il tentativo da parte degli ipermercati di resistere alla crisi. Non so quali saranno i risultati, ma credo che questa strategia venga utilizzata per poter guadagnare tempo e magari poi cambiare il modello organizzativo. L’ipermercato, invenzione francese, è quella struttura di vendita che offre sia prodotti alimentari, sia abbigliamento, tecnologia, elettrodomestici... ma oggi i consumatori di questo secondo settore preferiscono orientarsi ad altri punti vendita specializzati e le vendite negli ultimi anni del no-food si sono dimezzate ».Succede soltanto in Italia o è un fenomeno globale?«Succede anche in Francia e in Germania per esempio. Lì assistiamo anche a forme di consumo diverse che si stanno facendo strada, come il drive-in dove il cliente ordina la spesa sulla piattaforma internet e poi passa a una certa ora e in un certo giorno a ritirare con la propria auto la spesa già pagata. In questo modo per esempio si risparmia sul lavoro alle casse e non serve nemmeno sistemare la merce nelle corsie del supermercato».I sindacati in Toscana sono sul piede di guerra, dicono che non vogliono le aperture notturne e tantomeno le aperture h24.«Non c’è dubbio che la qualità della vita del lavoratore peggiori ». Dicono oltretutto che in busta paga l’aumento sia risibile, di soli 8 euro a notte e che si faccia ampio uso di lavoratori interinali...«Lo abbiamo già visto con le aperture domenicali che prima erano fino alle 13 poi si sono estese in molti posti a tutta la domenica con un progressivo impiego della manodopera flessibile. Le aziende ricorrono, è vero, a interinali, part time, a chi lavora a settimane alterne... ma è un problema europeo, non soltanto italiano».È un fenomeno inevitabile?«Alle aziende il lavoro flessibile conviene e comunque l’estensione del lavoro è un fenomeno sulla scia della globalizzazione. È chiaro che tutto questo non conviene ai lavoratori e infatti lo si vede dalla reazione dei sindacati. Ma quanto contano oggi i sindacati? Bisogna considerare gli aspetti sociali di tutto questo, io penso che la società abbia bisogno di ritmi alternati e anche di pause. C’è bisogno della pausa per creare spazi di comunità, per sentirsi parte di una famiglia, per avere dei momenti comuni. Trent’anni fa le grandi fabbriche rinunciavano non soltanto al lavoro della domenica, ma anche a quello del sabato».Sì, ma oggi si va in direzione contraria...« Il lavoro h24 rende impossibile i rituali dell’incontrarsi, rende difficilissima la vita alle famiglie. E tutto questo ha un impatto sulle nostre vite. C’è una società che non è preparata: pensiamo agli asili, ai servizi pubblici. Esiste un bus che riporti a casa i lavoratori dai centri commerciali quando finiscono il turno di notte? A questi ritmi si smette di incontrarsi».A suo avviso si può cambiare questa deriva?«Certo, se la politica se ne facesse carico cosa che non fa. La globalizzazione è stata creata modificando leggi sul lavoro e sul commercio, sulla produzione... » Lei pensa che si possa tornare indietro dalla globalizzazione?«Io penso che si possa andare avanti modificando certi aspetti disastrosi. Serve consapevolezza e non soltanto da parte dei consumatori che magari si trovano a consumare a dicembre le ciliegie che vengono dall’altra parte del mondo. Fra le degenerazioni a cui assistiamo c’è anche la fabbrica cinese che per risparmiare non trasporta più via mare le merci, ma direttamente la forza lavoro che sulla nave dal porto di Canton a Rotterdam, dalla Cina all’Europa, produce le camicie da vendere a bassissimo costo ».


 
 

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