Fonte: LA REPUBBLICA
Rubrica: Economia
L’IN DA GI NE
ILARIA CIUTI
SORPRESA per gli scettici sulle virtù moderne e competitive della Toscana. La regione è terza solo dopo il Friuli Venezia Giulia e il Veneto per numero di aziende innovative: è innovativo il 55,9% del totale delle imprese toscane, non a grande distanza dal massimo che è il 58,5% del Friluli. Tutte le altre regioni vengono dopo, comprese Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte.
La notizia arriva dai dati dello studio fatto dal capo economista del gruppo Banca Intesa San Paolo, Gregorio De Felice. Gli è stato commissionato per capire la potenzialità delle filiere produttive e dell’innovazione in Toscana, caratteristica che è alla base del «Programma filiere», deciso dalla banca per facilitare l’accesso al credito delle piccole aziende tramite la garanzia della grande azienda capofila della catena di fornitori. Perché di questo adesso c’è bisogno, di soldi e investimenti per portare avanti e rilanciare l’innovazione. I dati dell’indagine infatti sono contraddittori. La Toscana è in testa quanto a aziende innovatrici, però scende drasticamente al dodicesimo posto quando si tratta di aumentare le spese in innovazione.
E’ necessario fare lo scatto, secondo Banca Intesa, tanto più che gli agenti di crescita esterna, come l’euro basso, il prezzo del petrolio anche, e il quantitative easing della Bce sembrano assicurare una crescita annua di circa l’1% dell’economia italiana nel 2015-2016. Un’occasione da cogliere, ma soprattutto da sviluppare. Anche perché ci sono mercati esteri cui lo shock del crollo del prezzo del greggio ha dato un utile scossone e fatto crescere di nuovo i consumatori e ora hanno grandi potenzialità e sono in ripresa. Gli Usa vanno verso una crescita del 3% entro il 2016, veleggiano verso oltre il 3% i paesi del Golfo, la Cina va verso il 6,3% anche se rallenta gli investimenti, l’India punta all’8%, la media mondiale al 4%. In questo panorama il manifatturiero italiano ha la capacità di competere sui mercati internazionali: basta che innovi.
In Toscana ci sono 4.550 imprese con fatturato superiore ai 750 mila euro nel 2008 e a 150 mila euro nel 2013. Di queste, 265 hanno depositato almeno una domanda di brevetto all’Epo (European Patent Office) tra il 1998 e il 2012. Ma c’è molta strada da fare, anche se Firenze e la Toscana lavorano meglio della media nazionale. Tra il 2008 e il 2011, Firenze ha presentato 92,7 domande di brevetto per ogni milione di abitanti, la Toscana 80,3, la media italiana 73,2. Ma la Germania 270,6 e la Francia 126,7. Quanto all’occupazione, le previsioni di assunzioni fanno scendere dell’8,5% quelle di personale senza formazione specifica e salire del 10,2% quelle di laureati.
Tornando alle filiere, i dati di Banca Intesa svelano che le piccole imprese di sub fornitori sono molto concentrate sul territorio favorendo, così, scambi di informazioni e innovazioni. Vincono le filiere dove c’è un rapporto stabile tra capofila e fornitori o terzisti. Ne guadagna anche il capofila che trova sul territorio la qualità, l’ affidabilità, la capacità di creare prodotti esclusivi che sono basilari per i prodotti di fascia alta sempre più vincenti sui mercati esteri. Tanto che crescono le imprese capofila che vogliono riportare in Italia le produzioni di alta qualità e diminuiscono quelle che intendono spostarle all’estero. I subfornitori danno il meglio di sé dentro a filiere innovative di successo e che rinnovano di continuo la produzione, se la capofila trasmette loro know how e tecnologia e se sono, anch’essi, capaci di progettare nuove soluzioni. Va peggio quando i subfornitori sono poco coinvolti dalle aziende capofila e essi stessi non offrono contributi. Comunque la sfida per le imprese toscane, conclude l’indagine, si gioca all’estero e per conquistare i mercati internazionali bisogna investire in innovazione e moltiplicare le filiere che funzionano.
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