Fonte: LA REPUBBLICA
Rubrica: Altro
L’EUROPA invecchia, e per garantirsi un futuro (non solo demografico) non può fare a meno dell’immigrazione. Ma quello di cui dà prova su questo fronte, al momento, è una preoccupante miopia. Non solo la Ue non riesce a governare il fenomeno a livello internazionale, ma è perfino incapace di solidarietà interna. Un fallimento che sta costando caro a tutti, cittadini comunitari e immigrati, e che ha spesso origine, oltre che da una politica incapace, da scarsità di dati e lacunosità delle analisi. Ed è proprio l’intento di contribuire a una corretta lettura di un fenomeno epocale, in vista di una sua più corretta gestione politica e per contrastare ulteriori derive xenofobe, all’origine della conferenza annuale del Migration policy centre dell’Istituto universitario europeo (oggi e domani al Refettorio della Badia Fiesolana, via de’ Roccettini 9, San Domenico di Fiesole, dalle ore 14, info www.migrationpolicycentre. eu), con studiosi, esperti e operatori di tutto il mondo. Un appuntamento, spiega Alessandra Venturini, vicedirettrice del Migration policy centre e docente di politica economica all’Università di Torino, da cui, se lo volesse, l’Europa potrebbe trarre subito utili indicazioni.Il mancato accordo sulle quote al vertice di Bruxelles ha appena dimostrato che sull’immigrazione l’Europa stenta a darsi una strategia.«C’è una totale mancanza di visione politica. Si discute, senza risultato, di come distribuirsi 40 mila rifugiati, su uno stock europeo, ad oggi, di 120 mila, mentre in paesi come Siria, Giordania e Turchia aspettano una sistemazione in 4 milioni. E comunque, di fronte al problema nel suo insieme, quello della solidarietà intra europea sui numeri dell’accoglienza è un aspetto minimo».In che senso?«Per ottenere risultati veri serve una politica internazionale europea degna di questo nome, che al momento non c’è. Col risultato, sotto gli occhi di tutti, del dilagare dei partiti nazionalisti e xenofobi. Si tratta di muoversi su più fronti: trovando un luogo sicuro in nord Africa dove accogliere i richiedenti asilo, stabilizzando la Libia, intervenendo sugli Stati già carichi di rifugiati e ormai al collasso, come Iraq e Siria, aiutando in concreto paesi come Libano e Giordania, che rischiano anche loro di ridursi a non-Stati. L’Europa spera ancora che scenda in campo l’America, che però non ha più la vocazione del salvatore delle patrie. Tocca a noi, adesso».E sembra di capire che non si tratti solo di arginare un’emergenza, ma di governare un fenomeno ormai strutturale.«Di più: costitutivo, per l’Europa che verrà, e con un fondamentale aspetto buono di cui non si parla mai. Sempre più vecchia e incapace di innovare, costretta a centrarsi sulla sicurezza sociale, l’Europa ha già bisogno vitale dell’immigrazione. Puntare sui nuovi arrivati, accrescere le loro conoscenze e capacità, curare le loro competenze anche di alto livello, formarli subito come cittadini, vuol dire garantire un domani a tutti. All’Europa non serviranno solo badanti, ma anche laureati. E attenzione: l’integrazione deve cominciare non quando arrivano, o dalle seconde generazioni, ma, tramite accordi bilaterali con i paesi di origine, da rendere quindi partecipi al progetto, prima ancora che la gente parta, e nelle famiglie che attendono di ricongiungersi».Occorre, insomma, una programmazione internazionale dei flussi non solo in senso numerico, ma qualitativo.«Quello solo quantitativo rischia di essere irrealistico. Si monitorizzano i migranti per lavoro, il 30% del totale, i rifugiati, il 20%, e si tralascia chi si ricongiunge a un familiare, che rappresenta il 50% di quelli che arrivano. E che graverà a sua volta sul mercato del lavoro, ma, ad oggi, destinato soprattutto a lavori in nero o poco qualificati. Una quota non rego-labile, sempre aperta. Ma per fare qualcosa di mirato servono più dati, e progetti di coinvolgimento dei paesi di origine, come il progetto InterAct che sta curando il nostro Centro. E bisogna fare presto, se non si vuole un’ulteriore deriva dell’Europa verso destra. Nessuno è xenofobo dalla nascita, ma lo diventa se, dell’immigrazione, subisce per troppo tempo solo gli effetti negativi”.
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