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Percorso:

Fonte:  IL TIRRENO

03 luglio 2015 02:00

Rassegna stampa, IL TIRRENO, Economia


Data e ora di scadenza: 03 luglio 2015 02:00

«Canoni non dovuti» È battaglia legale sul porto di Punta Ala


di Alfredo Faetti PUNTA ALA Potrebbero essere in molti a dover dire grazie alla Marina di Punta Ala, in tutta Italia. La sua battaglia legale ha portato alla luce tutti i dubbi legati a un articolo della legge finanziaria 2006, con cui l’allora governo guidato da Romano Prodi stabiliva l’aumento dei canoni demaniali, comprese le strutture portuali, già chiamate a sostenere importanti finanziamenti dalle rispettive convenzioni per opere che poi sarebbero rimaste in mano allo Stato. Un aumento che la società non ha mai digerito e alla fine, a suon di ricorsi al Tar, è riuscita ad avere ragione, portando quella finanziaria di fronte alla Corte Costituzionale, chiamata adesso a verificarne la legittimità. Partiamo da molto lontano: dal 1976, anno in cui la neonata società Marina di Punta Ala e Comune di Castiglione della Pescaia firmano una convenzione della durata di cinquant’anni per la costruzione del porto turistico su un’area demaniale marittima. I patti sono chiari: la società dovrà versare un canone annuo allora stimato in due milioni e mezzo di lire (poi aumentati con l’andare del tempo) e dal canto suo il Comune allo scadere dei cinquant’anni si ritroverà con un nuovo porto in mano. Partono i lavori e in questo lungo periodo la Marina realizza tre bacini protetti da una diga foranea, tredici pontili e banchine per un’estensione di 1200 metri, quasi 900 posti di ormeggio e tutti i servizi necessari per la gestione di un porto turistico, come stazione carburanti, torre di controllo, eccetera. Un elenco di opere scandito nella sentenza del Tar, in cui si legge che l’intero pacchetto è costato al privato quarantasette milioni e mezzo di euro. Fin qui tutto bene, ma la sintonia s’incrina nel 2006, quando accadono due eventi: il rinnovo della concessione per altri dieci anni (così da permettere di portare in fondo gli investimenti previsti) e l’introduzione della finanziaria firmata dal ministro Tommaso Padoa Schioppa, che prevede appunto un aumento sui canoni demaniali senza distinzione tra le varie attività. All’inizio, tra il Comune e la Marina non cambia nulla, ma nel 2012 l’amministrazione decide di applicare il nuovo regime sui canoni, forte anche del parere dei propri avvocati, convinti che questi aumenti possano essere applicati anche per quelle convenzioni già in essere nel 2006. In questo modo, l’ente chiede pure gli arretrati fino al 2007, facendo lievitare il costo di circa un milione e settecento mila euro (da 550mila a due milioni e trecento mila euro). La società però non ci sta e impugna subito il documento davanti al Tar, che in una prima fase gli respinge pure la richiesta di sospensiva, accolta poi in seconda battuta dal Consiglio di Stato. Un ritornello questo che si ripete tutti gli anni, senza però venire a capo del problema. Almeno fino ad oggi, quando le memorie depositate dagli avvocati Filippo Donati ed Edoardo Brusco per contro del porto risultano decisive. Il punto su cui poggia il ricorso è quello dell’incostituzionalità della finanziaria stessa, in quanto un aumento tanto grande va ad incidere sui bilanci e quindi sugli investimenti che comunque fanno capo al privato. «L’incremento testé descritto ha inciso in modo repentino sui piani finanziari della società, squilibrandoli – si legge nella sentenza – Le imprese devono approntare un quadro economico nel cui ambito il criterio di fissazione dell’importo del canone, individuato nella concessione, è elemento determinante definito tenendo contro della rilevanza degli investimenti». Tradotto: una società che deve far fronte a investimenti sulla base di una convenzione decide se firmarla sulla base dei canoni concordati all’inizio, su cui poi stilare un piano finanziario. Se invece i canoni cambiano improvvisamente, questi sono da ritenere fuori legge. Ed è proprio questo il dubbio di legittimità costituzionale: «per l’imprevista e imprevedibile inversione di tendenza della normativa in materia di canoni concessori», recita la sentenza, rimandano la questione alla Corte Costituzionale. Quel che accadrà ora è tutto in divenire. Di certo la Marina non verserà un euro in più rispetto a quanto pattuito nel ’76, almeno fino a quando non ci sarà un pronunciamento su questo articolo della finanziaria di Padoa Schioppa. Una partita che interessa non solo a Punta Ala, ma ai porti di tutta Italia.


 
 

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